Piemme - narrativa contemporanea, Nadia Hashimi



"I piccioni, in qualunque paese vivano, hanno tutti alcune caratteristiche importanti. Sono uccelli intelligenti, capaci di memorizzare trucchetti per ritrovare la via di casa. Mangiano più o meno qualsiasi cosa. Carote, lattuga, peperoni dolci, riso, pane sbriciolato. Non si può certo dire che siano schizzinosi. Per digerire, però, hanno bisogno di buttare giù anche una specie di sabbia. Va bene anche del ghiaietto, oppure valve di ostrica triturate, se dalle tue parti ce ne sono.
Dalle mie, no. Difficile incrociare banchi di ostriche in questa sovraffollata cittadina del New Jersey. Immagino che non se ne trovino molti neppure in Afghanistan, visto che non ha sbocchi sul mare.
In compenso, qui dove abito io di ghiaietto ce n’è a palate, grazie al cemento che si sgretola dal camino e dal cornicione del palazzo, perciò gli uccelli sul nostro tetto stanno alla grande. Io mi occupo dell’acqua fresca: gliela porto e la cambio ogni due giorni. A volte ci pensa la pioggia al posto mio.
Alzo lo sguardo. Un aereo si è lasciato dietro un esile filo di cotone bianco. Dovete sapere che a mia mamma è sempre piaciuto sfidarmi a risolvere gli indovinelli su cui si cimentava lei da bambina, in Afghanistan. Tanti piccoli misteri che io mi diverto a svelare. Chiudo gli occhi e me ne torna in mente uno.
Cosa perlustra i cieli senza neppure lasciare la propria dimora?
Avevo capito la risposta più in fretta di quanto si fosse aspettata.
Lo sguardo, ricordo di aver detto.
Ma torniamo a noi. Non dovrei trovarmi qui. Sul tetto, intendo. Proprio no. Mia madre non sarebbe per niente contenta se sapesse che vengo quassù quasi ogni giorno per addestrare piccioni. Il nostro palazzo è vecchio, e qua e là il tetto ha dei punti un po’ instabili. Oltretutto non ci sono ringhiere o parapetti o simili, e quindi devo stare molto attento a rimanere lontano dai bordi. Però, se lo conosci, è sicuro, e io lo conosco come le mie tasche. Ci salgo ormai da quasi un anno, vale a dire da quando mamma mi ha raccontato quello che facevano alcuni suoi vicini in Afghanistan, secoli prima che si trasferisse in New Jersey.
«Lascialo in pace, Billy!» Dei nove piccioni che vivono sul nostro tetto, Billy è il peggiore, sempre a spintonare i compagni per accaparrarsi lui tutto il cibo, come se ne avesse più diritto di loro. Non è proprio niente di speciale, e invece si crede chissà chi. Tra gli altri ce n’è uno che si nota perché è più marroncino che grigio. Secondo me è il più vecchio (o vecchia) di tutti. Ha una cicatrice su un lato della testa e si muove lentamente. Gli altri in genere danno poca confidenza. C’è voluto un pezzo perché la smettessero di volare subito via non appena mi vedevano sbucare dalla botola che porta sul tetto, ma ora finalmente mi si radunano intorno, perché sanno che sono lì per dargli cose buone da mangiare.
Poi se ne vanno, però tornano sempre. Non sono ancora riuscito a fargli eseguire nessuno dei numeri che insegnano gli addestratori afghani, ma ci sto lavorando. Mamma mi ha raccontato che il suo vicino riusciva a fargli fare un giro intero tipo cerchio della morte, e pure a farli volare a pancia in su. Percorrevano chilometri e chilometri per consegnare messaggi segreti che venivano legati alle zampe, ma tornavano sempre a casa. I miei piccioni non si sognano neanche di compiere imprese del genere, ma non vedo perché non dovrebbero riuscirci un giorno, se tanti loro fratelli afghani hanno imparato.
Sto giusto per sparpagliare dei bei bocconi di pane imburrato quando una voce mi gela sul posto.
«Cosa ci fai qui sopra?»
Lasciando cadere il sacchetto, mi giro di colpo. Dalla botola sbuca la testa della signora Raz, nostra padrona di casa nonché vicina.
«Ecco, stavo solo…»
La signora Raz non è certo la classica nonnina. Non sferruzza né guarda i giochi a premi in televisione né si lamenta del mal di schiena. Non la vedo mai arrivare, e tanto meno la sento, eppure me la ritrovo sempre intorno, diffidente e scorbutica.
«Scendi immediatamente! Non dovresti stare qui!»
Neanche lei, in verità, a meno che non voglia una protesi pure all’altra anca..."


---

Hai dodici anni e sei nato in America. Tua madre è afghana e tutto ciò che sai di tuo padre è che una guerra stupida l'ha ucciso. Poi un giorno arriva la polizia, e vedi tua madre presa di forza e portata via, perché immigrata clandestina. La sua presenza è "illegale" nel paese dove tu sei nato, cresciuto, l'unico paese che puoi chiamare "casa". Comincia così la fuga di Jason, improvvisamente straniero a casa propria, per sfuggire alla polizia che ha preso sua madre, e per raggiungere New York, dove una zia è tutto ciò che gli resta della famiglia che credeva di avere.
Una vera e propria avventura, per un ragazzino, nella giungla di una città che si rivela molto più amichevole del previsto. Soprattutto grazie a Max: conosciuta per caso in una corsia d'ospedale, dove Jason finisce per uno svenimento, Max è una ragazzina molto speciale, pronta ad aiutarlo e a dargli saggi consigli.
Tra incontri bizzarri, nuove amicizie, paura e speranza, Jason riuscirà a ricongiungersi con la zia, e soprattutto a rivedere sua madre e a compiere quella che ormai è la sua missione: ricominciare daccapo, in America, con lei, che nel frattempo ha chiesto asilo politico. Perché nessuna legge può avere il potere di distruggere una famiglia.

Nadia Hashimi, Il cielo più azzurro (Edizioni Piemme, contemporanea, marzo 2019)